Usare il marchio altrui come meta tag è concorrenza sleale?
È vero che, sfruttando un marchio come parola chiave al fine di indicizzare i vari siti facendo apparire il proprio sito tra i primi, si pone in essere una condotta che costituisce illecito concorrenziale ex art 2598 n.3 c.c.?
I c.d. “risultati naturali” del motore di ricerca
Chiunque sia alla ricerca di una notizia, sia essa commerciale, scientifica o culturale, oggi usa soprattutto, almeno in prima battuta, un motore di ricerca. Il primo motore di ricerca, come quota di mercato, in tutto il mondo è Google. Lʼutente inserisce una parola chiave e lʼalgoritmo su cui si basa il motore di ricerca gli fornisce i risultati. Si tratta di un algoritmo ̶ segreto ma ripetutamente perfezionato ̶ che aspira ad allineare i risultati in ordine di rilevanza, tenendo conto di fattori come il numero di link che rimandano a quel sito e al numero di visitatori. Il motore di ricerca viene alimentato dallʼopera automatizzata dei bot o crawler che perlustrano instancabilmente la rete per rilevare e collocare in una griglia di riferimento (c.d. indicizzazione) i contenuti di tutti i siti presenti in rete.
Metatag e Concorrenza Sleale: il c.d. Keyword marketing confusorio
Lʼuso ingannevole come metatag di un marchio altrui assume rilievo sotto il profilo della contraffazione di marchio e della concorrenza sleale per sfruttamento parassitario.
La giurisprudenza ha affermato che costituisce atto di concorrenza sleale, ai sensi dellʼart. 2598, n. 3, c.c., lʼutilizzo del nome di un concorrente come metatag nelle pagine pubblicitarie di un sito web. La lesione provocata da tale pratica è definita invisible trademark infringement, in quanto il visitatore che esegue la ricerca di un determinato marchio, per esempio Alfa, e vede comparire un diverso sito, per esempio Beta, può essere indotto a credere che il marchio Alfa sia di titolarità di Beta; o che i prodotti offerti per mezzo del sito Beta siano ricollegabili a quelli di Alfa; o ancora che i due tipi di prodotti presentino almeno le stesse caratteristiche. Un caso particolare di uso come metatag di un marchio altrui si realizza con i c.d. link sponsorizzati.
Il marchio altrui come metatag
Lʼimpiego del marchio altrui come metatag è un tema ormai tradizionale e in qualche misura passato. Oggi gli algoritmi dei motori di ricerca non prendono in considerazione (o almeno non solo) i metatag per determinare i risultati della ricerca ed il loro ruolo è verosimilmente recessivo. Le indicazioni da essi fornite tendono ad essere intenzionalmente trascurate dall’algoritmo di funzionamento adottato dai motori di ricerca, in quanto riflettono la rappresentazione del contenuto prescelta dal titolare del sito più che la realtà effettuale dello stesso. Va, infatti, considerato che difficilmente lʼutente che sia interessato a una berlina o a una macchina fotografica digitale usi questi termini come parole chiave. Può essere ̶ ed è anzi più probabile ̶ che digiti “Volkswagen” e “Canon”. Quindi, lʼinserzionista avvertito che voglia vendere berline e macchine fotografiche digitali è indotto ad acquistare (anche) le parola chiave “Volkswagen” e “Canon”. Allʼutente che digiti questi due marchi, compariranno quindi i prodotti delle due case fra i risultati naturali, ma anche un buon numero di link sponsorizzati acquistati dai concorrenti delle due case in questione che contengono un annuncio dei concorrenti stessi e un facile accesso ai siti di questi ultimi. Inoltre, ancora oggi, se si scrive una parola corrispondente ad un marchio allʼinterno del proprio sito web, questa verrà letta e indicizzata dal motore di ricerca, ma non è detto (anzi è poco probabile) che, cosi facendo, compaia nella SERP (Search Engine Results Page). Per questi motivi, le sentenze significative in materia, sono ormai datate. Tra lʼaltro, i casi trattati dai Tribunali, si riferiscono esclusivamente allʼuso di metatag e parole chiave per i link sponsorizzati, non per i c.d. “risultati naturali” del motore di ricerca che sono imprevedibili.
Italia: le sentenze significative
In Italia la giurisprudenza ha disciplinato in modo diverso nel tempo, lʼuso in rete di marchi altrui a fini commerciali.
Le prime pronunce italiane in materia risalgono ai primi anni duemila e hanno ad oggetto lʼuso del marchio altrui come metatag. I Tribunali di Roma (18.01.2001)5, Milano (08.02.2002) e Napoli (28.01.2001) avevano escluso che lʼuso come metatag di una parola corrispondente al marchio di un concorrente costituisse contraffazione di tale marchio, principalmente perché il metatag è invisibile allʼutente e, quindi, il segno non si può dire usato in funzione distintiva. Avevano, invece, ritenuto che ciò potesse costituire unʼipotesi di concorrenza sleale, in particolare per agganciamento. Al contrario, in tema di keyword advertising, il Tribunale di Milano (26.02.2009 e 11.03.2009) ha stabilito che lʼuso di marchi altrui come keywords a fini pubblicitari costituiva, oltre che concorrenza sleale, anche violazione di marchio allorché lʼuso avvenga anche in funzione distintiva (ad esempio, allʼinterno dellʼannuncio pubblicitario), poiché tale uso è idoneo a generare confusione nei consumatori e, nel caso di marchi notori, anche a generare un profitto per lʼutilizzatore e un danno per il titolare del marchio. 5 Una delle prime sentenze italiane di riferimento è quella emessa dal Tribunale di Roma nel gennaio del 2001. Lʼordinanza ha ravvisato quale concorrenza sleale il comportamento di unʼimpresa nel settore RCA auto che, utilizzando nelle keyword il segno distintivo della concorrente, ne aveva sfruttato la notorietà per comparire il proprio sito nei risultato di ricerca sui motori. Grazie a tale condotta avrebbe tratto un “vantaggio in maniera parassitaria, […] dallʼeffetto di “agganciamento” ai risultati dei mezzi impiegati da altri”. Tuttavia, essendo i metatag non direttamente visibili allʼutente, in questo caso non è stata ravvisata contraffazione del marchio, in quanto il segno non è stato utilizzato in funzione distintiva.
In Europa: Sentenza Interflora
Le parti La Interflora Inc., società soggetta al diritto dello Stato del Michigan (Stati Uniti), gestisce una rete di consegna di fiori in tutto il mondo. La Interflora British Unit è una licenziataria della Interflora Inc. La rete della Interflora Inc. e della Interflora British Unit è formata da fiorai, con i quali i clienti possono effettuare ordinazioni di persona o per telefono. La Interflora dispone anche di siti web che permettono di effettuare ordinazioni via Internet, che vengono evase dal membro della rete più vicino al luogo in cui dovranno essere consegnati i fiori. Il principale sito web è www.interflora.com. Tale sito è replicato in versioni nazionali, quale il sito www.interflora.co.uk. “Interflora” è un marchio nazionale nel Regno Unito ed è anche un marchio comunitario. È assodato che, con riferimento al servizio di consegna di fiori, tali marchi godono di grande notorietà nel Regno Unito e in altri Stati membri dellʼUnione europea. La M&S, società di diritto inglese, è uno dei maggiori rivenditori al dettaglio del Regno Unito. Tale società fornisce unʼampia gamma di prodotti e servizi attraverso la propria rete di negozi e tramite il suo sito web www.marksandspencer.com. Uno dei servizi offerti consiste nella vendita e nella consegna di fiori a domicilio. Tale attività commerciale si trova in concorrenza con quella dellʼInterflora. È infatti pacifico tra le parti che la M&S non fa parte della rete Interflora.
Il fatto
Nellʼambito del servizio di posizionamento “AdWords”, la M&S si è riservata la parola chiave “Interflora” nonché alcune varianti formate dalla stessa parola chiave con “errori marginali” e da espressioni contenenti il termine “Interflora” (come “Interflora Flowers”, “Interflora Delivery”, “Interflora.com”, “Interflora co uk” etc.), come parole chiave. Di conseguenza, allorché un utente Internet inseriva la parola “Interflora” o una delle suddette varianti o espressioni come termine di ricerca nel motore di ricerca di Google, sotto il titolo “link sponsorizzato” appariva un annuncio pubblicitario della M&S. Dopo aver constatato tali fatti, lʼInterflora ha proposto una Sdomanda per la violazione dei propri diritti di marchio contro la M&S dinanzi alla High Court of Justice (England & Wales), Chancery Division, la quale ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre la questione alla Corte.
La decisione
La decisione della Corte di Giustizia U.E. del 2011, ha segnato un orientamento preciso. I giudici comunitari hanno, infatti, condannato la M&S inglese che aveva pubblicizzato il proprio servizio di vendita e consegna a domicilio di fiori e piante, utilizzando come metatag il noto marchio Interflora, unʼazienda tra i leader di settore. La sentenza ha stabilito che il titolare di un marchio, che gode di notorietà, ha il diritto di vietarne lʼuso da parte di un terzo nellʼambito di un servizio di posizionamento su Internet, qualora detto concorrente tragga illegittimo vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio oppure nel caso in cui tale pubblicità arrechi pregiudizio a detto carattere distintivo o a detta notorietà. Ovvero quando “la pubblicità che compare a partire dalla suddetta parola chiave non consente o consente solo difficilmente allʼutente internet normalmente informato e ragionevolmente attento di sapere se i prodotti o i servizi menzionati nellʼannuncio provengano o meno dal titolare del marchio”. Allo stesso tempo i giudici si sono premurati di specificare che il titolare di un marchio famoso non può vietare annunci pubblicitari fatti comparire dai propri concorrenti a partire da parole chiave che corrispondono al proprio marchio e propongono, senza arrecare pregiudizio alla funzione distintiva del marchio, unʼalternativa rispetto ai prodotti o ai servizi del titolare del noto segno.
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