La Sentenza n. 22513 del 2004 accoglie il ricorso di Stefania Sandrelli contro un noto settimanale per soli uomini che aveva pubblicato, senza la sua autorizzazione, foto dell’attrice tratte dal film “La chiave”.
Il presupposto su cui si basa la decisione del c.d. caso Sandrelli è che “chiunque pubblichi abusivamente il ritratto di una persona nota per finalità commerciali, è tenuto al risarcimento del danno, la cui liquidazione deve essere effettuata tenendo conto anzitutto delle ragioni della notorietà di cui si tratta, soprattutto se questa è connessa alla attività artistica del soggetto leso, alla quale si collega normalmente lo sfruttamento esclusivo della
immagine stessa”.
La Corte di Appello di Roma aveva escluso il diritto al risarcimento per l’illecita pubblicazione delle fotografie perchè l’attrice, in una certa occasione, avrebbe rinunciato ad autorizzarne la pubblicazione e dunque a trarre un utile da sfruttamento dalle fotografie.
La Sentenza n. 22513 del 2004 ha ribaltato la decisone dei Giudice dell’appello perchè il rifiuto alla pubblicazione non equivale a perdita del diritto.
“Tale rifiuto non può essere equiparato”, dice la Cassazione, “ad una sorta di abbandono del diritto stesso con conseguente sua caduta in pubblico dominio, giacchè nella gestione del diritto alla propria immagine ben si colloca la facoltà , protratta per il tempo ritenuto necessario, di non pubblicare determinate fotografie, senza che ciò comporti alcun effetto ablativo. Ma soprattutto la stessa gestione può comportare la scelta di non sfruttare una determinata fotografia perchè lo sfruttamento può risultare lesivo, in prospettiva, del bene protetto.”
Il risarcimento del danno va calcolato sul presupposto che “l’abusiva pubblicazione quando comporta la perdita da parte del titolare del diritto o della facoltà di offrire al mercato l’uso del proprio ritratto, dà luogo al corrispondente pregiudizio” (Cass. n. 4031 del 1931).
Inoltre “…lo sfruttamento illecito delle fotografie in quanto frustrante della predetta strategia generale che solo al titolare del diritto spetta di adottare, può risultare in concreto fonte di pregiudizio ben più grave di quello che corrisponde al valore commerciale della specifica attività abusiva. Ed il cui risarcimento può ben essere effettuato in termini di perdita della reputazione professionale, nella specie allegata, da valutarsi caso per caso dal giudice del merito nei limiti della ricchezza non conseguita dal danneggiato, ovvero anche con il ricorso al criterio di cui all’art. 1226 cc..”
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