La rete l’aveva giudicato come pedofilo postando il link al suo profilo chiedendo a tutti di segnalarlo.
Hate-Speech un caso eclatante: Alfredo Mascheroni
Alfredo è stato vittima di una bufala online, una notizia falsa che è diventata virale a livello esponenziale e che oramai sembra non poter essere più arginata. La denuncia alla polizia postale ha tempi biblici considerando che il giudice, una volta accertata la gravità del caso, deve avviare una rogatoria internazionale per bypassare la legge sulla privacy.
Nel frattempo Alfredo ha assoldato un hacker privato al fine di rintracciare da dove è partito il post infamante che gli sta rovinando la vita.
In un primo momento anche il sito Bufale.net, il blog che raccoglie le segnalazioni sulle notizie false, aveva fatto un articolo senza citare il nome, per tutelarlo: BUFALA Ciao, per favore, segnali questo pedofilo? – bufale.net. In seguito il caso era stato ripreso da altri siti, esempio: Cosa succede quando la gente su internet decide che sei un pedofilo.
La diffamazione per mezzo di Internet è stata recentemente equiparata alla diffamazione a mezzo stampa, comportando una maggiore severità sanzionatoria.
La diffusione tramite internet di comunicazioni offensive dell’altrui onore o reputazione configura l’ipotesi di diffamazione aggravata dall’uso di un altro mezzo di pubblicità (art. 595 comma 3, c.p.), anche nel caso di scritto contenuto in una testata telematica. A impedire la configurabilità dell’aggravante del mezzo della stampa e delle più severe sanzioni comminate dall’art. 13 legge n. 47/1948 (per il caso di attribuzione di un fatto determinato) è ancora oggi, secondo la dottrina e la giurisprudenza dominanti, il tenore letterale dell’art. 1 della legge sulla stampa, che configura le nozioni di stampa e stampato sulla base di un criterio tecnico e finalistico, il primo dei quali sarebbe applicabile alla realtà virtuale soltanto in virtù di una interpretazione analogica in malam partem, vietata dal nostro ordinamento (ex art. 14 disp. prel.).
Il delitto di diffamazione telematica, quale reato di evento, si consuma nel momento in cui i terzi percepiscono l’espressione offensiva. Nel caso di siti che per loro natura (come è il caso dei giornali telematici) sono destinati all’immediata fruizione da parte degli utenti del web, il momento consumativo del reato retroagisce al momento dell’immissione dei dati in Rete, atteso che in quel frangente presuntivamente avviene la conoscenza della notizia diffamatoria.
Si tratta, peraltro, di una presunzione semplice, superabile dimostrando che la percezione è avvenuta successivamente ovvero non si è affatto verificata, magari per problemi tecnici (in quest’ultimo caso la condotta sarà comunque punibile a livello di tentativo).
L’applicabilità delle scriminanti è subordinata ad una serie di limiti individuati dalla giurisprudenza di merito e di legittimità che ha individuato, altresì, delle differenze nella configurabilità del delitto, a seconda del mezzo attraverso il quale viene diffusa la notizia diffamatoria.
I siti internet contenenti scritti offensivi possono essere sottoposti a sequestro preventivo ai sensi dell’art. 321 c.p.p. Non è ammessa alcuna misura cautelare nel (solo) caso in cui la comunicazione offensiva sia con-tenuta in una testata telematica, che sotto questo profilo è inquadrabile nel concetto di stampa.
Con riferimento alla c.d. informazione non qualificata, apparirebbe non priva di rischi l’eventuale introduzione nel nostro ordinamento di forme di responsabilità in capo ai gestori dei siti (blogger , moderatori di forum ecc.) per i messaggi scritti da terzi e dagli stessi ospitati, analoghe a quella sancita dall’art. 57 c.p. per i direttori della stampa cartacea, in quanto da un lato ciò finirebbe per creare delle figure non professionali e magari non adeguate di «garanti della liceità delle comunicazioni» e dall’altro comporterebbe una possibile dilatazione delle censure preventive, contrarie allo spirito della rete telematica.
Occorrerebbe piuttosto pensare a regole volte a evitare l’anonimato degli autori dei messaggi (o, rectius, a garantirne la rintracciabilità), ad esempio imponendo a chi voglia postare un messaggio su un blog la previa trasmissione dei propri dati – con strumenti che ne garantiscano l’autenticità – al gestore dello stesso, il quale senza diffonderli in Rete all’atto della pubblicazione del messaggio sarebbe a sua volta tenuto a metterli a disposizione dell’autorità giudiziaria (analogamente a quanto stabilito per i provider dalla legge n. 70/2003).
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