Definizione di format televisivo
I primi autori che si sono interessati all’argomento, in anni in cui il format televisivo sembrava appannaggio esclusivo della TV americana, lo hanno definito come
uno schema di base che individua i principali tratti caratteristici di una trasmissione televisiva o (più spesso) di un’intera serie di trasmissioni tra loro variamente coordinate
In seguito tale concetto è stato ulteriormente affinato per intervento della SIAE che ha definito il format come
un’opera dell’ingegno avente struttura originale esplicativa e compiuta nell’articolazione delle sue fasi sequenziali e tematiche, idonea ad essere rappresentata in un’azione radiotelevisiva o teatrale, immediatamente o attraverso interventi di adattamento o di elaborazione o di trasposizione, anche in vista della creazione di multipli. Ai fini della tutela, l’opera deve comunque presentare i seguenti elementi qualificanti: titolo, struttura narrativa di base, apparato scenico e personaggi fissi
La Cassazione fa propria la definizione della SIAE, ma esplicita un elemento nuovo, ossia quello della descrizione: un format televisivo, per essere tutelato quale opera dell’ingegno protetta dal diritto d’autore, non solo deve consistere in
uno schema di programma, un canovaccio delineato nei suoi tratti essenziali, generalmente destinato ad una produzione televisiva seriale, ma tali elementi devono risultare anche «da una sintetica descrizione
I format televisivi sono tutelati dal diritto d’autore?
Il format di un programma televisivo è protetto dal diritto d’autore solo quando presenti una struttura ben definibile e ripetibile.
Per struttura ben definibile si intende una struttura costituita da
- un titolo,
- un canovaccio,
- un apparato scenico,
- e personaggi fissi.
Soltanto la presenza di questi elementi lo qualifica come opera dell’ingegno e solo in questo caso è protetto dal diritto d’autore.
Quando un elaborato può essere qualificato come format tv?
Risponde alla domanda la giurisprudenza con una sentenza del Tribunale di Roma del 27 Giugno 2019.
Il caso ha riguardato un consulente editoriale esterno per un programma della Rai (Linea Verde) che ha di sua iniziativa, scritto e proposto un progetto di una nuova linea editoriale.
La parte attrice ha invocato la tutela del proprio diritto d’autore quale ideatore della nuova versione del programma, sul presupposto che quest’ultima costituisse opera connotata da elementi di innovatività (nella struttura narrativa, nelle ambientazioni e nei personaggi) rispetto alla precedente, tali da far ritenere che ne fosse derivata la creazione di un nuovo “format” televisivo.
Prova della circostanza si sarebbe dovuta desumere – secondo l’attore – dall’esame del documento (prodotto come documento nel fascicolo di parte attrice), denominato “Una nuova Linea Verde – Progetto editoriale – Approccio autorale”.
La parte convenuta ha invece sostenuto che con il progetto l’attore si fosse, da un lato, limitato a delineare un nuovo taglio editoriale della trasmissione, incidendo limitatamente sulla preesistente struttura del programma, dall’altro, non avesse comunque definito compiutamente lo schema della (asseritamente nuova) trasmissione.
Per il Tribunale, la qualificazione del “progetto” redatto dall’attore è stata preliminare ad ogni valutazione circa la fondatezza delle domande formulate, sul presupposto che esso fosse configurabile come un’opera suscettibile di essere oggetto del suo diritto di autore.
Il format televisivo esempio: “Linea Verde”
L’orientamento che si sta consolidando nel tempo nella giurisprudenza della Corte di legittimità e anche reiteratamente condiviso nelle pronunce della Sezione specializzata in materia di impresa del Tribunale di Roma è quello, secondo il quale
In tema di diritto di autore relativo a programmi televisivi, ai fini della configurabilità di un’opera dell’ingegno, pur potendosi prescindere da una assoluta novità e originalità di essa e nell’ambito di un concetto giuridico di creatività comunque soggettivo, è necessario, con riferimento al “format”, cioè all’idea base di programma quale modello da ripetere anche da altre emittenti o in altre occasioni ed in assenza di una definizione normativa, avere riguardo alla nozione risultante dal bollettino ufficiale della SIAE n. 66 del 1994, secondo cui l’opera, ai fini della prescritta tutela, deve presentare, come elementi qualificanti, delle articolazioni sequenziali e tematiche, costituite da un titolo, un canovaccio o struttura narrativa di base, un apparato scenico e personaggi fissi, così realizzando una struttura esplicativa ripetibile del programma (cfr. in questo senso, la giurisprudenza già richiamata in sede cautelare: Cass. Sez. 1, Sentenza n. 3817 del 17/02/2010 e, da ultimo, negli stessi termini, Cass. sez. Sez. 1 – Sentenza n. 18633 del 27/07/2017).
Nel caso di specie, tali principi sono stati applicati tenendo conto del fatto che indiscutibilmente il programma già esisteva ed era connotato da alcuni aspetti identificativi rimasti costanti anche nelle successive edizioni, oggetto delle domande del ricorrente; in tale prospettiva, la verifica della sussistenza di elementi caratterizzanti un nuovo “format” deve essere operata in riferimento ai soli profili innovativi del programma eventualmente idonei a delineare lo stesso in modo diverso rispetto alle edizioni precedenti.
Alla luce dei richiamati principi, il Collegio ha ritenuto che difettasse nel “Progetto editoriale” redatto dal ricorrente la definizione compiuta di un “nuovo” programma televisivo, nei suoi elementi qualificanti, come enucleati nelle pronunce giurisprudenziali richiamate. Per tali ragioni, non si sono ravvisati nell’elaborato del ricorrente in esame i contenuti propri di un “format” televisivo, da un lato, sotto il profilo della compiutezza, poiché lo stesso recava meramente l’enunciazione allo stato embrionale dei contenuti della trasmissione destinati ad essere necessariamente sviluppati dagli autori di essa, con inevitabile rilevante contributo creativo da parte dei medesimi. Del resto, è pacifico che non siano suscettibili di protezione alcuna, in base alla normativa del diritto d’autore, le mere idee che rimangano ad uno stato embrionale, che non siano state sviluppate dall’Autore in una compiuta forma rappresentativa.
D’altro lato, sotto altro profilo, perché non si è colto nel progetto, in quanto neppure incidente su alcuni elementi fondanti la struttura preesistente del programma (nucleo centrale del titolo, sigla, struttura narrativa di base, apparato scenico quest’ultimo itinerante sul territorio e personaggi), una portata innovativa tale da consentire di ascrivere al ricorrente l’ideazione di una diversa trasmissione televisiva.
A nulla rilevato, ai fini della qualificazione giuridica del lavoro svolto dall’Autore, la circostanza che il progetto negli scambi di mail intercorsi tra gli autori del programma fosse indicato quale “nuovo format” della trasmissione od anche il fatto che sulla piattaforma raiplay.it in ordine alla nuova edizione di Linea Verde, fosse stato scritto “il programma di RAI 1 che da oltre mezzo secolo racconta l’agricoltura italiana e le sue eccellenze, cambia format e raddoppia con due appuntamenti settimanali, il sabato e la domenica, sempre a partire dalle ore 12,20”, dato il tenore del tutto atecnico delle definizioni contenute nelle comunicazioni richiamate.
Per tali ragioni, non hanno trovato accoglimento le domande dell’attore fondate sul presupposto dell’individuazione nel caso di specie di un’opera suscettibile di tutela in base alla normativa sul diritto d’autore.
Amore criminale
La Corte di Cassazione pronunciandosi sulla controversia sulla titolarità del format di “Amore criminale”, trasmissione incentrata sulla narrazione di episodi di cronaca nera di donne uccise dai loro compagni, di grande successo trasmessa dalla Rai, afferma che il format si adatta meglio a spettacoli di intrattenimento che non ad opere destinate ad avere un vero e proprio sviluppo narrativo.
In tal caso si richiede una struttura programmatica dotata di un grado minimo di elaborazione creativa, il che postula l’individuazione iniziale almeno degli elementi strutturali della vicenda e quindi della sua ambientazione nel tempo e nello spazio, dei personaggi principali, del loro carattere e del filo conduttore della narrazione, con l’ulteriore conseguenza che, in mancanza di tali elementi non è possibile invocare la tutela afferente alle opere dell’ingegno.
Format televisivo – Il caso: sentenza 18633 depositata il 27 luglio
I giudici della Suprema Corte confermano che il format predisposto dalla casa di produzione Ruvido Srl fosse già dotato di una sufficiente “definizione creativa”, negando pertanto la contitolarità richiesta da Reti televisive spa che, pur avendo approntato il canovaccio della trasmissione, aveva poi suggerito alcune modifiche del tutto “marginali ed insignificanti”.
Per stabilire se un format di un programma televisivo integri gli estremi dell’opera dell’ingegno protetta dal diritto d’autore, pur dovendosi prescindere da un’assoluta novità e originalità di esso, nell’ambito di un concetto giuridico di creatività comunque soggettivo, è possibile, in assenza di una definizione normativa, aver riguardo alla nozione risultante dal bollettino Siae n. 66/1994, secondo cui l’opera deve presentare elementi qualificanti, articolazioni sequenziali e tematiche, costituite da un titolo, un canovaccio o struttura narrativa di base, un apparato scenico e personaggi fissi, cosi realizzando una struttura esplicativa ripetibile del programma.
In mancanza di tali elementi – stigmatizzano i giudici – non è possibile invocare la tutela afferente alle opere dell’ingegno, perchè si è in presenza di un’ideazione ancora “così vaga e generica da essere paragonabile a una scatola vuota” e non di un format.
La tesi della ricorrente
L’idea della ricorrente era diretta a dimostrare di avere essa stessa contribuito all’elaborazione del format, sulla base di una idea embrionale soltanto abbozzata dalla convenuta, fornendo i materiali per la puntata pilota. Ma – come rilevano i giudici – non esiste alcuna traccia di un contratto di appalto stipulato dalle parti, un documento che avrebbe viceversa provato l’affidamento del compimento dell’opera (o del servizio) all’appaltatore, il quale assume il rischio dell’organizzazione dei mezzi necessari. L’unico riferimento – si legge nella sentenza – è ad un accordo avente come oggetto la realizzazione della puntata pilota, che comunque non avvenne in regime di appalto.
Il ricorso, pertanto, è respinto.
Cade dunque l’accusa, rivolta a Ruvido srl, di concorrenza sleale, per essersi subdolamente avvalsa della collaborazione di Reti televisive spa. Gli apporti di quest’ultima sono infatti stati definiti dalla Corte di appello “insignificanti”.
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