Conflitto tra marchi patronimici: le aziende con lo stesso cognome
Nel giudizio di comparazione tra marchi, ha maggior peso il cognome rispetto agli altri elementi costitutivi del segno. Di norma, la parola o le parole che formano il patronimico costituiscono il cuore del marchio.
La Corte di Cassazione (Cass. civ. Sez. I, 31/10/2016, n. 22033 Soc. Calzificio Coccoli c. Soc. Fratelli Campagnolo) ribadisce che: “In tema di conflitto tra marchi patronimici, anche se l’elemento denominativo di norma ne costituisce il cuore l’aggiunta in quello successivo di elementi ulteriori di per sĂ© non ne comporta nĂ© la novitĂ -distinguibilitĂ , nĂ© la carenza di tali requisiti, dovendo al riguardo procedersi ad una debita analisi di tutte le circostanze del caso (nella specie, la Suprema corte ha ritenuto immune da vizi, confermandola, la sentenza di merito secondo cui il marchio “Calze Coccoli”, per calze e collant, non è confondibile con quello posteriore di altro imprenditore “Coccoli di Melby” per capi di abbigliamento per neonati, in quanto: a) il primo è un marchio d’insieme, connotato non tanto dal patronimico, mero indicatore di origine, non identificativo dei prodotti di riferimento, anche perchĂ© corrispondente ad una parola d’uso comune, quanto dalla sinergica combinazione della parola “calze” con l’immagine della testa di un cane Breton, evocante morbidezza e comfort, b) nel secondo il dato differenziale “by Melby”, accentuato dalla rappresentazione grafica in lettere colorate con sfondo a tinte vivaci, non è di mero contorno, in quanto presenta una cospicua attitudine connotativa, suggerendo fantasiosamente che i “coccoli”, ossia i bimbi, provenissero o appartenessero ad un mondo fiabesco e si identificassero con un personaggio favoloso.”
La Cassazione stabilisce e sottolinea, quindi, come la Corte territoriale competente abbia valorizzato l’effettiva peculiarità del caso, considerando anche che “il dato differenziale contenuto nel secondo marchio, “di Melby”, lungi dal presentarsi quale elemento differenziatore di puro contorno, possedeva una cospicua attitudine connotativa, giacché sottolineava una tratto fantasioso ed immaginifico assente nell’altro marchio, suggerendo che i “coccoli”, ossia i bimbi – riferendosi il marchio “Coccoli di Melby” ad una linea di vestiario per neonati-bambini – provenissero o appartenessero ad un luogo fiabesco, o si identificassero con un personaggio favoloso, aspetto, quest’ultimo, accentuato dalla rappresentazione grafica della parola “Melby” in lettere colorate a sfondo a tinte vivaci”.
In conclusione,
nell’opinione della Corte di Appello, i due marchi non potevano ritenersi confondibili.
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