L’equilibrio tra legalitĂ e illegalitĂ in tema di diritto d’autore online è un’annosa questione basata sul principio di legge secondo il quale nessuno può appropriarsi di contenuti artistici altrui.
Il sottotitolo di questo principio cardine del diritto d’autore online riguarda un’altra questione consistente nella protezione delle opere.Â
Il Caso
Il caso che vede vittoriosa la mamma del “Dancing Baby” risale al 2007: Stephanie Lenz pubblica un video di 30 (trenta) secondi, con il suo bambino che balla sulle note di “Let’s Go Crazy” di Prince. L’audio è disturbato, si sente veramente male, ma non importa: Universal Music Group detiene i diritti di quel pezzo e ne notifica a YouTube la rimozione. Lenz non ci sta e li cita in giudizio, richiamando certi tipi di fair use secondo i quali chi contestava stava contravvenendo al Digital Millennium Copyright Act. Il nono circuito della Corte d’Appello degli Stati Uniti si è messo dalla parte di Lenz, sostenendo che i detentori di diritti devono considerare i casi di fair use prima di notificare avvisi di rimozione a YouTube e altri host di video: “Per essere chiari, se un detentore di copyright ignora o trascura la nostra decisione, senza considerare il fair use prima di inviare una notifica di rimozione, è responsabile dei danni …” hanno detto i giudici.
Il caso specifico farĂ scuola
Twitter si è organizzata per proteggere i tweet copiati e anche Facebook ne sa qualcosa: sta cercando un proprio sistema contro le violazioni dei video rubati. La legislazione statunitense in materia di copyright si basa sul “Millennium Copyright Act”, che non consente l’utilizzo da parte di terzi di materiale coperto dai diritti d’autore a eccezione del caso in cui tale utilizzo non rientri nella clausola del “fair use”, l’uso equo.
La nozione di fair use nel diritto d’autore
Il “fair use” consente l’utilizzo di materiale protetto dal copyright per scopi come il diritto di critica, il giornalismo, l’insegnamento e la ricerca: per esempio consente a un giornalista di citare un brano di un libro in un suo articolo o a un ricercatore di citare i versi di una poesia che sta studiando.
I fattori fair use
La giurisprudenza statunitense ha stabilito 4 fattori da valutare per determinare se si può parlare di “fair use” o no: l’oggetto e la natura dell’uso, in particolare se ha natura commerciale oppure didattica e se è senza scopo di lucro; la natura dell’opera protetta; la quantità e l’importanza della parte utilizzata sul totale dell’opera protetta; le conseguenze di questo uso sul mercato potenziale o sul valore dell’opera protetta.
Il precedente giuridico
La sentenza sul video di Stephanie Lenz è importante perché stabilisce un precedente giuridico e apre una questione. Ogni giorno, infatti, le case discografiche e le società che detengono i diritti d’autore scandagliano internet in cerca di eventuali violazioni, facendo spesso uso di algoritmi più che del lavoro umano.
Ci sono software che ogni giorno esaminano milioni di post e video alla ricerca di materiale protetto da diritto d’autore.
Una definizione più ampia e soggettiva di “fair use” renderebbe inutile l’uso di questi strumenti, che andrebbero rimpiazzati o integrati dal lavoro di un essere umano in grado di valutare caso per caso (anche se il tribunale ha detto che un algoritmo in grado di fare questa distinzione sarebbe legale ed efficace). Il giudice del caso di Stephanie Lenz ha anche spiegato che ai responsabili del copyright che ignorino o trascurino il “fair use” prima di emettere avvisi di rimozione potrebbero essere richiesti i danni, purché il querelante dimostri che i responsabili erano in mala fede. Per ora Lenz ha ottenuto ragione solo sul fatto che la Universal non avesse considerato il “fair use” nel giudicare il suo video: per aver diritto a un risarcimento dovrà dimostrare che l’azione è stata portata avanti in mala fede.
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