Pubblicità occulta e product placement: nella riunione del 29 gennaio 2015 l’Autorità garante della Concorrenza e del Mercato ha deciso di sanzionare Mondadori, Unifarm e Philips per pubblicità occulta.
Pubblicità occulta e product placement: il caso
Il fatto riguarda un servizio sulla maternità di Belen Rodriguez, pubblicato dal settimanale Chi. Come spiega l’Antitrust, nel servizio pubblicato sul n. 17 del 24 aprile 2013, intitolato “Belen con il suo Santiago” erano riportate, ingrandite, riquadrate in rosso e isolate dal contesto, le immagini di un latte per neonati, Neolatte1, e di un biberon della Avent. Nelle didascalie che accompagnavano le foto venivano specificati prezzi e proprietà dei due prodotti. In particolare il latte artificiale veniva indicato come “un tipo di latte in polvere per lattanti con Bifidus naturali, che favoriscono una sana e buona digestione”. Mentre il biberon “in Pes (Polietersulfone) per neonati, riduce al minimo l’aria nella pancia evitando coliche e irritabilità”.
Il latte Neolatte è prodotto da un’azienda tedesca ma distribuito nel canale delle farmacie da Unifarm, società di farmacisti che opera nel settore della distribuzione intermedia del farmaco. La società olandese Philips produce anche prodotti per le mamme e i bambini, fra i quali il biberon Philips Avent.
Che differenza c’è tra Pubblicità occulta e Product Placement?
Va esclusa la configurabilità della pubblicità occulta quando non vi è prova di alcun accordo di committenza, ossia quando non sia provato che l’incontro delle volontà si sia verificato.
La natura pubblicitaria si desume, secondo l’Antitrust, pur in assenza di una prova diretta dell’accordo, è stato possibile desumere la natura pubblicitaria del messaggio da molteplici indizi precisi e concordanti quali:
- la collocazione delle foto (ingrandite, riquadrate in rosso e fuori contesto rispetto al contesto narrativo e fotografico del servizio),
- le informazioni sui prodotti (caratteristiche e prezzi),
- la differenza tra il servizio in bozza (che non conteneva riferimenti specifici a prodotti individuati e alle loro caratteristiche) e quello poi pubblicato.
Si tratta di chiari elementi distintivi rispetto a quelli che si trovano nei servizi giornalistici sulla vita dei personaggi pubblici, la cosiddetta informazione leggera.
Nell’impaginazione mancava qualsiasi accorgimento o indicazione che rendesse evidente ai consumatori la natura promozionale delle immagini.
A seguito degli interventi legislativi che hanno individuato gli elementi concettuali e i requisiti di ammissibilità del product placement, lo stesso si può definire come l’inserimento oneroso, pianificato, coerente, non invadente e riconoscibile di marchi e prodotti in un’opera dell’ingegno cinematografica, televisiva o di altra natura.
Il contratto
Parti del contratto sono da un lato l’impresa di produzione interessata ad acquisire risorse per la realizzazione dell’opera e dall’altra l’azienda produttrice di beni o servizi che ha interesse ad utilizzare canali alternativi di comunicazione commerciale.
La causa atipica del contratto
Può essere individuata nello scambio di prestazioni. Per alcuni il negozio giuridico si configura in un appalto di servizi con obbligazione di mezzi e non di risultato, non potendosi comunque garantire lo scopo dell’atteso ritorno pubblicitario, connesso alla variabile del successo dell’opera.
L’indagine
A parere dei giudici amministrativi, al fine di tutelare la libertà delle creazioni artistiche, occorre valutare i presunti indizi rilevatori di pubblicità occulta. Con un’indagine preliminare, da effettuarsi caso per caso, si dovranno pertanto rintracciare la natura specifica ravvicinata o reiterata delle inquadrature e la chiara leggibilità o percettibilità dei marchi commerciali, con conseguente innaturalità dell’esibizione da un lato. Dall’altro andrà individuata la presenza o l’assenza di concrete esigenze artistiche o narrative funzionali alla citazione del brand.
Pubblicità nei film: le regole
Nel corso del tempo, proprio grazie alla giurisprudenza dell’Autorità garante della concorrenza e dei giudici amministrativi, sono stati precisati i principi che consentono oggi di individuare in modo più efficace se e quando ricorre una fattispecie di pubblicità non trasparente. In alcune occasioni Tar e Consiglio di Stato hanno accolto i ricorsi delle società sanzionate dall’Agcm.
Principi regolatori e casi giurisprudenziali rilevanti
L’utilizzo di un marchio all’interno di un film può essere lecito e non richiedere il consenso del titolare se giustificato da particolari esigenze artistiche o narrative. Ma la valutazione viene compiuta caso per caso. Non esistono regole oggettive e principi assoluti sulla liceità dell’utilizzo di un marchio in un Film senza consenso del titolare.
Nel 1995
l’Agcm ha deciso in merito ad un film (“College”) nel quale compariva ripetutamente un pacchetto di una nota marca di sigarette. L’Antitrust aveva ritenuto che non sussistessero particolari esigenze artistiche – narrative alla base di tali ripetute inquadrature, che apparivano invece finalizzate a puro scopo promozionale, e aveva perciò vietato l’ulteriore diffusione del film. Il Tar del Lazio non aveva condiviso la decisione dell’Agcm, ma era stato poi smentito dal Consiglio di Stato il quale, anche in assenza di prova, riteneva possibile ricostruire in via indiziaria il carattere occulto della pubblicità, sottolineando in particolare “l’innaturalità con cui il pacchetto di sigarette veniva esibito e …l’estraneità del messaggio rispetto al contesto.”
Un altro caso interessante
di aggiramento del divieto espresso di pubblicità per i prodotti da fumo riguarda un servizio fotografico su articoli di abbigliamento pubblicato su una rivista: in alcune foto compariva un pacchetto di sigarette Marlboro senza che ciò fosse giustificato da esigenze narrative. Il Tar ha successivamente respinto il ricorso della Philip Morris.
Nel 1998
L’Antitrust ha sanzionato due volte la Rai per pubblicità occulta.
La prima riguarda la trasmissione “Quelli che il calcio”, nel corso della quale venivano ripetutamente inquadrate le camicie di una nota casa di moda, citando più volte il nome dello stilista Versace, senza che ci fosse una connessione diretta e necessaria con il dialogo tra gli ospiti presenti nello studio. Il Tar ed il Consiglio di Stato hanno confermato la decisione dell’Agcm: il tono umoristico della trasmissione non esclude la volontà di pubblicizzare in modo occulto il marchio, perché – al contrario – può rendere i messaggi pubblicitari “ancora più subdoli per il pubblico dei telespettatori”.
Il secondo caso riguarda l’inquadratura prolungata ed in primo piano dell’etichetta dell’acqua minerale Lete all’interno di un programma di prima serata, senza che ci fosse alcun collegamento con le interviste in corso.
Nel 2006
L’Autority ha esaminato il caso della telecronaca di una partita di calcio effettuata da Sky, nel corso della quale i due commentatori sportivi indossavano a bordo campo un giubbotto con la scritta Adidas e ha sanzionato la rete televisiva e la società di abbigliamento con una multa complessiva di 92.200 euro. Il Tar ed il Consiglio di Stato hanno respinto i ricorsi ribadendo il principio in base al quale, anche in assenza della prova che tale pubblicità sia stata effettivamente commissionata dalla ditta di abbigliamento, per configurare una pubblicità occulta sono sufficienti indizi precisi, gravi e concordanti; nel caso specifico le riprese prolungate, il marchio ben evidenziato, l’attinenza del marchio dell’azienda al carattere sportivo della manifestazione ed i rapporti commerciali di sponsorizzazione per altri programmi.
Sempre nel 2006
Sono state sanzionate La 7 Televisione e Seat Pagine gialle per un servizio giornalistico, all’interno del telegiornale, nel quale l’operatore si soffermava in modo prolungato su un cartellone pubblicitario delle Pagine gialle (12.40. Pronto Pagine bianche), senza alcuna connessione logica con il tema trattato nel servizio, ma in presenza di rapporti commerciali tra Seat e La 7 riguardanti proprio la promozione del servizio 12.40.
Il Tar ha confermato la pronuncia dell’Agcm
Il caso più recente esaminato dall’Antitrust riguarda le trasmissioni “Buona domenica” e “Pomeriggio cinque” trasmesse su Canale 5, nel corso delle quali alcuni ospiti indossavano capi di abbigliamento e ne mostravano insistentemente il logo. L’Agcm ha ritenuto di sanzionare sia la società Gielle (che opera nel settore dell’abbigliamento) che la rete televisiva (quest’ultima per omesso controllo, in particolare con riferimento alle parti registrate, e per non avere comunque evidenziato agli spettatori il carattere promozionale della trasmissione) per un ammontare complessivo di 90.000 euro. Il Tar del Lazio, esaminando il ricorso della rete televisiva, ha confermato il giudizio di pratica scorretta, ritenendo peraltro giusto ridurre la sanzione per tener conto delle difficoltà di intervento nelle parti del programma che si svolgevano in diretta.
La pubblicità nei film: quella ingannevole e comparativa a danno delle imprese è illecita
La pubblicità è ingannevole quando è in grado di indurre in errore l’impresa alla quale è rivolta, pregiudicandone il comportamento economico, o quando è idonea a ledere un concorrente. L’ingannevolezza può riguardare le caratteristiche dei beni o dei servizi, come la loro disponibilità o la data di fabbricazione, il prezzo e le condizioni di fornitura.
La pubblicità comparativa
È invece quella modalità di comunicazione pubblicitaria con la quale un’impresa promuove i propri beni o servizi mettendoli a confronto con quelli dei concorrenti. Questo tipo di pubblicità è ammessa solo quando non è ingannevole, mette a confronto beni omogenei in modo oggettivo, non ingenera confusione tra le imprese, né provoca discredito al concorrente.
Conclusioni
Affinché si possa, propriamente, ricondurre l’inserimento di un marchio/prodotto al concetto di product placement sono necessari due requisiti: la finalità pubblicitaria/promozionale e, conseguentemente, tale inserimento deve essere frutto di un preciso accordo tra lo sponsor e il produttore dell’opera audiovisiva. Pertanto non ogni inserimento automaticamente ricade all’ interno della disciplina prevista per il product placement.
Finalità dell’inserimento dei Marchi nei Film
Infatti se l’ inserimento ha puramente finalità artistiche o è, semplicemente, casuale non si può parlare di product placement, ma, anche in questi casi occorre valutare, in mancanza di un accordo economico, che neppure si tratti della fattispecie della pubblicità occulta. Tale valutazione va compiuta caso per caso in base alle regole e al diritto sancito dai precedenti giurisprudenziali.
L’inquadratura dei Marchi nei Film
Per quanto riguarda, specificatamente, l’inquadratura questa non deve inutilmente indugiare sul prodotto/marchio, in modo tale da apparire innaturale rispetto al contesto narrativo- espressivo.
Dal momento che per i Marchi nei Film:
- non esistono regole oggettive di liceità dell’utilizzo dei marchi all’interno di un Film se non mediante la conclusioni di accordi tra le parti;
- la valutazione va compiuta caso per caso ed è sempre demandata al Giudice adito che deciderà secondo regole soggettive e giurisprudenziali;
- la tendenza del Tribunale è di reprimere le pratiche di pubblicità occulta ovvero quelle che non siano regolate contrattualmente,
Pubblicità nei Film: anche i dialoghi contano
Per una risposta precisa ed esaustiva, che elimini qualsiasi ipotesi di rischio è essenziale visionare le inquadrature effettuate e le battute che accompagnano la visibilità del prodotto.
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