É di questi giorni la notizia che vede gli eredi dello scrittore inglese Roald Dahl, in accordo con il suo storico editore Puffin (parte del gigante Penguin Books), acconsentire alla modifica dei libri del celebre autore di storie per l’infanzia. In particolare, è stato deciso di sostituire, in alcuni testi, certi termini come “nano”, “grasso”, oppure la correlazione streghe-donne. Queste parole sarebbero state ritenute offensive dai membri di Inclusive Minds, organizzazione operante nel campo dell’inclusività per i bambini, a cui Puffin ha chiesto una consulenza. Si sta infatti consolidando la prassi, da parte degli editori, di interpellare i cosiddetti “sensitivity readers”, rappresentanti di categorie sociali o minoranze, allo scopo di individuare presunte discriminazioni suggerite dalle opere letterarie e di renderle così più apprezzabili dal pubblico.
I libri di Dahl pertanto, verranno riscritti eliminando ogni riferimento giudicato discriminante per razze, religioni, categorie di persone. Il caso fa scalpore nel mondo della letteratura, già lo scrittore Salman Rushdie, da poco vittima di una aggressione a sfondo religioso, ha parlato di censura. Dal punto di vista giuridico, il fatto invita a riflettere su una serie di scenari possibili e, soprattutto, sui temi della tutela dell’integrità dell’opera creativa e dei diritti d’autore. Tentiamo una disamina alla luce della normativa italiana.
Uno scrittore, al momento della pubblicazione del proprio lavoro, stipula con l’editore un contratto di cessione dei diritti (cd. contratto editoriale) disciplinato dagli artt. 118 e seguenti della Legge sul Diritto d’Autore (L.633/1941). Tramite questo contratto, l’autore
concede a un editore l’esercizio del diritto di pubblicare per le stampe, per conto e a spese dell’editore stesso, l’opera dell’ingegno
Come sempre accade, ad essere ceduti sono solamente i cosiddetti diritti di utilizzazione economica, tra i quali il diritto di modificazione dell’opera ex art. 18 LdA. Al contrario, i diritti morali d’autore sono incedibili e rimangono in capo al soggetto creatore. Difatti, stavolta l’art. 20 LdA, dispone che
l’autore conserva il diritto di rivendicare la paternità dell’opera e di opporsi a qualsiasi deformazione, mutilazione od altra modificazione ed a ogni atto a danno dell’opera stessa, che possano essere di pregiudizio al suo onore e alla sua reputazione.
Da notare che anche nell’art. 20 si parla di modificazione dell’opera ma che incide nell’ambito morale e non in quello patrimoniale come nell’art. 18. L’art. 20 esprime l’interesse all’integrità dell’opera, inteso come facoltà dell’autore di conservare la corretta percezione presso il pubblico della propria personalità così come si è estrinsecata nell’opera creata. Ma cosa succede quando l’autore non è più in vita?
Di seguito, l’art. 23 LdA, specifica che dopo la morte dell’autore, il diritto previsto nell’art. 20
può essere fatto valere, senza limiti di tempo, dal coniuge, dai figli e, in loro mancanza, dai genitori e dagli altri ascendenti e dai discendenti diretti; mancanti gli ascendenti ed i discendenti, dai fratelli e dalle sorelle e dai loro discendenti.
Questo il primo nodo della faccenda Roald Dahl: all’erede non viene trasmesso il diritto morale mortis causa bensì egli subentra nella titolarità di un diritto come fosse il proprio e che ha ad oggetto il rispetto e la stima sociale di un familiare non più in vita. Dunque, la natura costitutiva e non derivativa dei diritti morali nei confronti degli eredi, prevista per legge, per forza di cose non trova riscontro nella persona dell’autore defunto, il quale, a meno che non abbia lasciato documenti scritti, non può più manifestare le proprie volontà sulle eventuali modificazioni dell’opera. Succede poi spesso che gli eredi siano del tutto estranei agli ambiti di competenza dell’autore e si trovino ad amministrarne i diritti e le sorti della sua produzione. Quale volontà allora dovrebbe prevalere? La norma pare non lasciare adito a dubbi, gli eredi incarnano il volere dello scrittore.
Particolare non trascurabile della fattispecie è però che gli eredi dei diritti sulle opere di Dahl non sono più persone fisiche ma la Roald Dahl Story Company, società che nel 2021 è stata acquisita da Netflix. Secondo parte della dottrina del Diritto, la tutela dell’integrità troverebbe giustificazione in un interesse collettivo nei confronti dell’opera stessa, rilevato dall’autore, dagli eredi o dalla comunità. Il fondamento di tale interesse si rileverebbe in molti dei principi contenuti nelle norme di rango costituzionale, pensiamo all’art. 21 Cost. sulla libertà di esprimere il proprio pensiero. Come comportarsi, allora, quando la gestione dei diritti morali di un autore risente dell’ingerenza di una persona giuridica con scopi commerciali (in questo caso la società di distribuzione più importante al mondo)? Anche perchè, al limite, la valutazione sulla portata lesiva o comunque sul grado di aderenza di un’opera creativa ai valori della comunità che la fruisce, non dovrebbe pervenire da un soggetto “moralizzatore” che insegua trend e comportamenti in continuo cambiamento come lo è la stessa società.
In ultimo, ci si chiede se questo non possa considerarsi un precedente per un’operazione di revisione che rischia di diventare tautologica. Modificare parti della Commedia di Dante suggeriti dalla ricostituita comunità ghibellina o, caso limite ma ormai nell’ambito del possibile, rivedere la Bibbia nei suoi passaggi più cruenti. Qualsiasi opera creativa è figlia del suo tempo e anche quelle che al tempo sopravvivono non diventano classici per incontrare un qualsivoglia benvolere. Il talento più grande dell’artista, dell’uomo, rimane la sua contraddizione.
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