L’Appropriation Art o Citazionismo è una corrente artistica che teorizza un ritorno alla manualità, all’uso dei colori della pittura dopo anni di dominazione dell’arte concettuale. Il Citazionismo si basa sull’idea che sia possibile misurarsi con l’intero bagaglio della tradizione artistica senza più distinzioni diacroniche o gerarchiche. Oltre a citare liberamente stili e linguaggi del passato, alcuni autori si “appropriano” di opere altrui, problematizzando il rapporto tra copia e originale.
Il periodo di riferimento più importante per il movimento, sul piano internazionale, è probabilmente il 1925, quando si tenne una mostra d’arte a Mannheim dedicata alla Nuova oggettività. In Italia è stato il 1984, anno in cui la corrente artistica delineatasi tra la fine degli anni settanta e primi anni ottanta del Novecento, denominata Anacronismo, ha avuto la sua consacrazione alla Biennale di Venezia, come una delle più tipiche espressioni della cultura postmoderna.
Appropriation art cosa è
L’appropriation art è l’arte dell’appropriarsi di immagini altrui ed utilizzarle a fini artistici.
Sherrie Levine è una delle più radicali interpreti di questa tendenza. L’artista statunitense rifotografa celebri foto di Walker Evans e Karl Blossfeldt, firmandole con il proprio nome o, in modo diverso. In Italia, il sostegno critico di Maurizio Calvesi, portò alla ribalta esponenti quali Alberto Abate, Roberto Barni, Ubaldo Bartolini, Paolo Bertocchi, Lorenzo Bonechi, Stefano di Stasio, Paola Gandolfi e Omar Gallian.
I rischi che si corrono quando si usa materiale coperto da copyright per fare arte è che l‘opera non sia considerata una forma di utilizzazione libera o che non sia dichiarata una forma di elaborazione creativa.
In questo modo si incorre nella violazione di diritti economici e morali dell’artista dell’opera originale che è stata utilizzata e richiamata nel lavoro appropriativo. Ciò comporta, nella migliore delle ipotesi, il solo risarcimento del danno. Nei casi più seri può portare anche alla distruzione dell’opera (un’ipotesi tragica per l’artista).
Cosa rischia un artista producendo Appropriation art?
Un caso interessante di Appropriation Art relativa ai video ha riguardato l’artista Christian Marclay e la sua opera di videoarte intitolata “The Clock”, un montaggio di 24 ore di clips di film.
“The Clock” inaugura alla fine del 2010 alla White Cube Gallery di Londra ed è per la prima volta esposto a New York alla Paula Cooper Gallery. Entrambe le gallerie hanno sostenuto finanziariamente il budget della produzione del video (più di 100.000 $). Il budget tuttavia non ha coperto i costi per il pagamento dei diritti alle case di produzione cinematografica.
Pare che l’artista si sia disinteressato di assolvere i diritti di Hollywood. In un’intervista a “The Economist” (2010), Marclay ha affermato che il lavoro tecnicamente potrebbe essere considerato “illegale”, ma anche che molti potrebbero considerarlo un “fair use.”
In un’intervista a “The New Yorker”, Marclay ha esposto la sua idea di copyright: “If you make something good and interesting and not ridiculing someone or being offensive, the creators of the original material will like it.”(Se fai qualcosa di buono e interessante senza ridicolizzare nessuno o essere offensivo, i creatori dei materiali originali non potranno che gradire il risultato finale.)
Appropriation art e fair use
Cosa succede se la dottrina del fair use statunitense viene applicata all’Appropriation Art?
Occorre prima fare una breve premessa. Al fine di determinare se l’uso di un’opera precedente costituisca fair use la giurisprudenza americana ha elaborato un test che considera quatto fattori:
- la finalità e la natura dell’uso, valutando se tale uso sia commerciale o se abbia invece una finalità educativa non lucrativa;
- la natura dell’opera autoriale;
- la quantità e l’importanza della parte dell’opera utilizzata rispetto all’opera intera
- l’effetto dell’uso sul mercato potenziale o sul valore dell’opera utilizzata.
Diversamente, la legge italiana sul diritto d’autore prevede il diritto esclusivo dell’autore di elaborare l’opera, diritto che “comprende tutte le forme di modificazione, elaborazione e di trasformazione dell’opera” (art. 18). Sulla base di questa norma, l’appropriazione di una precedente opera dovrebbe essere autorizzata dall’autore dell’opera originaria.
I casi emblematici riguardano due opposte decisioni che hanno visto coinvolto Jeff Koons.
Art Rogers v. Koons
Il primo caso riguarda la ripresa della “String of puppies”, una fotografia di Arthur Rogers nella quale apparivano due signori seduti su una panchina con in braccio quattro cuccioli di cane.
La fotografia era stata utilizzata da Jeff Koons, non come semplice ispirazione, ma esattamente come prototipo di una scultura fatta realizzare da un artigiano italiano. L’opera di Koons riproduceva esattamente i due signori seduti su una panchina, nonché — in braccio agli stessi — la c.d. stringa dei cuccioli (string of puppies), realizzando una scultura e connotandola di un cromatismo molto vivace.
La decisione – in questo caso, la Corte Federale americana – ha dato torto a Jeff Koons, considerando che non si trattava di una satira dell’opera d’arte che Koons aveva voluto copiare, ma di una satira della società, del modo della società di porsi rispetto all’oggetto. Per questo motivo quindi non trasmetteva nessun messaggio che avesse riguardo all’opera originaria, rappresentata dalla fotografia di Arthur Rogers. In questo caso i giudici americani hanno valorizzato l’assoluta uguaglianza tra l’opera originaria e la scultura che la riproduceva. Quest’ultima non aveva aggiunto nulla e soprattutto non poteva definirsi parodia dell’opera originaria, bensì semmai parodia nei confronti della società. L’artista aveva asservito alla sua idea l’opera del fotografo che invocava protezione a norma della legge sul diritto d’autore.
Blanch v. Koons
Il secondo caso, che ha visto coinvolto sempre Jeff Koons, veniva invece risolto nel senso opposto. Si trattava della riproduzione in un dipinto di Koons di una fotografia di Andrea Blanch, realizzata per una pubblicità di sandali di Gucci e raffigurante due piedi incrociati, calzati appunto da detti sandali.
Tale immagine veniva ripresa da Jeff Koons in un famoso dipinto (Niagara), di notevoli dimensioni, elemento questo non trascurabile, tanto che veniva considerato nella sentenza. In questo caso era valorizzato che la fotografia era stata inserita nell’opera successiva di Koons, ma con notevoli trasformazioni.
Il dipinto, infatti, raffigurava ben quattro coppie di piedi e non più solo una coppia, alcune “vestite”, altre prive di scarpe, su un fondo completamente diverso, ed altresì con un’inversione, perché la fotografia originaria rappresentava le punte dei piedi rivolte verso l’alto, mentre nell’opera pittorica queste si trovano rivolte verso il basso, avendo, inoltre, Koons aggiunto anche un calcagno che non si vedeva nella fotografia originale ed avendo così realizzato un’opera del tutto diversa. La corte statunitense negava quindi protezione alla fotografia.
3 casi emblematici di Appropriation Art oggi
Patrick Cariou v. Richard Prince
Nel 2000 il fotografo Patrick Cariou pubblicò l’opera Yes Rasta, una raccolta di fotografie di ritratti e paesaggi immortalati nell’arco di sei anni di vita tra i Rastafarians in Giamaica.
Richard Prince utilizzò quarantuno fotografie tratte da Yes Rasta, senza richiedere alcun consenso al fotografo, per la realizzazione di una serie di dipinti e grandi collage fotografici intitolati Canal Zone. Le opere furono esibite tra il 2007 e il 2008 presso l’hotel Eden Rock in Saint Barthélemy e, successivamente, presso la Gagosian Gallery a New York; quest’ultima pubblicò e mise in vendita un catalogo che conteneva riproduzioni delle opere di Prince. Nel caso Prince il giudice della District Court ha evidenziato che, nel creare i quadri della serie “Canal Zone”, Richard Prince ha utilizzato quali pezzi dei suoi collages le fotografie di Cariou, mostrando di rendere omaggio alle opere di pittori quali Picasso, Cezanne, Warhol, de Kooning. Tuttavia è apparso chiaro che Prince non intendesse commentare Cariou e che il suo lavoro non fosse sufficientemente “trasformativo”.
Mattel, Inc. v. Walking Mountain Productions
Thomas Forsythe ha realizzato una serie fotografica, intitolata “Food Chain Barbie”, composta da settantotto fotografie che mostravano una Barbie nuda, in pose comiche e a sfondo sessuale. Mattel ha citato in giudizio il fotografo per violazione del copyright, nonché contraffazione di marchio e del trade dress (ossia, dell’immagine del prodotto).
La Corte distrettuale prima, e la Corte d’Appello dopo, hanno ritenuto che l’utilizzo in questione costituisse fair use, riconoscendo il carattere trasformativo dell’uso. La Corte:
- ha riconosciuto che le opere del fotografo costituivano una parodia (forma d’arte protetta dal Primo Emendamento che sancisce la libertà d’espressione) della Barbie e di tutto ciò che quest’ultima rappresentava;
- ha rilevato come la Barbie, attraverso l’imponente attività di marketing svolta da Mattel, incarni oramai l’ideale di donna americana assurgendo al ruolo di “symbol of American girlhood” se non, addirittura, di vera e propria “cultural icon.”
Proprio per il rilevato valore iconico, la Barbie si prestava ad essere utilizzata come uno strumento per criticare i valori da essa rappresentati nella specie il consumismo e i valori della società moderna.
Appropriation art e fair use nel caso “The Giacometti Variations”
In “The Giacometti Variations” non è messo in discussione il carattere creativo dell’opera di Giacometti, ma è fortemente contestato dalla ricorrente che all’opera di Baldessari possa essere riconosciuto il valore di opera d’arte creativa e nuova, così da ritenere che non si tratti di plagio. L’apporto creativo esiste in astratto anche se l’opera deriva da un’opera preesistente, magari di altro autore per i cui diritti sussista ancora protezione.
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